LA CHIAMATA ALL'AMORE PER CELEBRARE IL 28 GIUGNO 1969

di RICCARDO DEFEO

LA CHIAMATA ALL'AMORE PER CELEBRARE IL 28 GIUGNO 1969

Corato Attualità

letto: 719 volte 28 giugno 2020 Non raggiunti il minimo di 3 voti.


Corato, 28 Giugno, Pride 2020

C’era la Chiamata alle armi, e in molte aree del mondo c’è ancora; c’è la Chiamata alle arti, che sempre più organizzazioni culturali propongono, una specie di sortita di chi si occupa di Bellezza per combattere il Brutto che impera, a livello estetico ed etico. Una chiamata che è sempre valida e a cui tutti, al di là della professione e del ruolo, abbiamo il compito di rispondere. E c’è la Chiamata all’Amore. È importante continuare. È importante continuare anche a promuovere la Chiamata all’amore. A sostenere la Chiamata all’amore. E questa è rivolta, ma non solo, chiunque può infatti sostenerla, a tutti coloro che hanno visto da troppo tempo negata la libertà di amare, indistintamente, per motivi sociali, religiosi, culturali, geografici. Ma in questo mese particolare che è dedicato all’Orgoglio LGBTQ, il Pride Month - come viene chiamato nella lingua che ci fa superare i confini stretti, tra le Alpi e i Mari, e ci fa transitare negli spazi comuni del cosmopolitismo e degli incontri oltre le differenze, oltre le disuguaglianze - mi rivolgo in modo particolare alle donne lesbiche, agli uomini gay, alle persone transessuali e a tutti coloro che per varie ragioni non rientrano, a livello affettivo e sessuale, nella classificazione binaria maschio/femmina. È necessario continuare a richiedere il diritto ad esistere con la propria identità e con il proprio orientamento sessuale e affettivo. È necessario rivendicare la propria libertà. Nonostante la lunga strada percorsa dalla comunità LGBTQ verso il riconoscimento dei diritti civili, nonostante il riconoscimento, fin dal 17 maggio 1990, dell’Organizzazione Mondiale della Sanità che l’omosessualità non è una malattia ma una “variante naturale del comportamento umano”, nonostante il riconoscimento del matrimonio egualitario in 28 paesi del mondo(Argentina, Australia, Austria, Belgio, Brasile, Canada, Colombia, Costa Rica, Danimarca, Ecuador, Finlandia, Francia, Germania, Irlanda, Islanda, Lussemburgo, Malta, parte del Messico Norvegia, Nuova Zelanda, Portogallo, Regno Unito, Spagna, Stati Uniti d'America, Sudafrica, Svezia, Taiwan, Uruguay e parte dei Paesi Bassi), nonostante il riconoscimento delle unioni civili (Italia, Andorra, Cile, Cipro, Croazia, Grecia, Liechtenstein, Repubblica Ceca, San Marino, Slovenia, Svizzera e Ungheria), nel mondo, che è anche qui, si soffre ancora per la proprio orientamento e identità sessuale. L’omosessualità è considerata reato in 86 Paesi, è punita con la pena di morte (Afghanistan, Iran, Pakistan, Qatar, Arabia Saudita, Emirati arabi e Yemen, Mauritania, Sudan,12 Stati della Federazione nigeriana), è ancora considerata reato in 12 paesi degli U.S.A. C’è ancora molto da lavorare se una donna lesbica egiziana, attivista lgbtq, è stata incarcerata il 22 settembre 2017 (a due mesi esatti dalla celebrazione della mia unione civile con Luciano al Comune di Corato) per aver sventolato una bandiera arcobaleno durante un concerto di musica ed è stata sottoposta a torture e abusi; quindi costretta ad esiliare in Canada dove, fallito ogni tentativo di recupero psico-fisico, persa la forza di resistere, si è tolta la vita il 14 giugno. Sto parlando di Sarah Hegazi. Ma l’omofobia si abbatte anche nei paesi dove la legge garantisce pari dignità e pari diritti come in Spagna: il 3 giugno Borja Iglesias, attaccante del Real Betis, ha postato una foto su Twitter, che lo ritraeva con le unghie smaltate di nero durante l’allenamento, in segno di protesta contro l’omicidio dell’afroamericano George Floyd. Anziché sostenere il gesto simbolico per esprimere lo sdegno nei confronti del razzismo, gli sono stati rivolti insulti, senza equivoci, omofobici. Quello che emerge con chiarezza è che razzismo e omofobia non sono ancora atteggiamenti superati. La Chiamata all’amore si amplia di ulteriori significati e rivendicazioni. Anche Alessandro Zan, deputato del Partito Democratico relatore della legge contro l’omotransfobia, che entro luglio arriverà alla Camera dei Deputati, ha denunciato gli insulti rivoltigli sui social del tipo “Ricchione ritira la legge o farai una brutta fine” con un link alla pagina Wikipedia del capo dei nazisti. Un indubbio atteggiamento di odio.

È chiaro che oltre alle conquiste giuridiche, sempre più diffuse in tutto il mondo, è necessario farsi conoscere, perché solo in questo modo cadono i pregiudizi e il modo di pensare si arricchisce del rispetto reciproco tra le persone. Il rispetto deriva dalla semplice considerazione che la dignità deve essere riconosciuta a tutti gli esseri umani come viene dichiarato nell’articolo 3 della nostra Costituzione: Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali; e come recita il primo articolo della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani dell’O.N.U.: Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza.

È importante continuare a promuovere la Libertà di Essere, come una mia nipote ha intitolato la sua ricerca per sostenere l’esame di terza media, in un collegamento on line a distanza a causa della pandemia che ci ha colpiti. La ricerca imperniata sul tema del riconoscimento dei diritti della comunità lgbtq visti dal suo punto di vista di ragazza di 14 anni, che grazie al percorso scolastico è diventata grande sostenitrice di tutti i diritti civili rendendosi consapevole dei valori che sono alla base della società. Durante il nostro primo pranzo in famiglia, dopo i tre mesi di confinamento, nella casa di campagna mia e di Luciano, ci ha comunicato che stava svolgendo la ricerca e che alle mie richieste di leggerla con molta semplicità mi ha detto: No, è un lavoro mio. L’ultimo giorno, prima di spedirla me l’ha fatta leggere. Sono rimasto sorpreso dalla chiarezza delle motivazioni che l’hanno spinta a intraprendere un tema così complesso e difficile. Conclusa la lettura le ho detto: Qualcuno potrebbe supporre che la scelta del tema abbia a che fare con la tua persona…Mi ha guardato dritto negli occhi: Zio, io sostengo la causa, come sostengo i diritti di tutte le persone, come ho imparato a scuola: i diritti degli ebrei, i diritti dei neri, i diritti dei disabili, i diritti delle donne, i diritti di tutte le persone che per vari motivi hanno subito danni da parte della società, e poi ha aggiunto Zio, visto che tu sei un insegnante, perché a scuola la persecuzione degli omosessuali non rientra negli argomenti dei libri scolastici? Perché i professori non ci danno delle fotocopie su questo tema come hanno fatto con altri temi non presenti sui libri di testo? A scuola abbiamo studiato i diritti di tutte le persone, che non sono stati riconosciuti dalla società, hanno avuto o continuano ancora ad avere problemi di riconoscimento. Perché i diritti delle persone LGBTQ no?

Per questo è importante la Chiamata all’Amore. La chiamata è per tutti, e su tutti i fronti, perché c’è bisogno di credere ancora nell’avvenire di un mondo più umano/e più giusto più libero e lieto, come scrisse Italo Calvino a proposito della Resistenza italiana. La relazione con quel periodo straordinario della storia italiana non è casuale, e non sembri esagerata, perché noi omosessuali, bisessuali e transessuali stiamo ancora vivendo nella nostra vita quotidiana, e non al fronte, e questo rende ancora più drammatica la realtà, una Resistenza, se ancora oggi nel mondo c’è chi soffre, perde la vita o continuare ad essere offeso solo perché chiede il diritto di amare. E mi ha commosso quando Luciano, mio marito, ha postato sui social un link sul soldato americano morto di AIDS nel 1988: si tratta di Leonard Philip Matlovich, nato a Savannah il 6 luglio 1943 e morto a West Hollywood il 22 giugno 1988, attivista e militare statunitense, veterano e decorato della guerra del Vietnam, il quale si è battuto per l'affermazione dei diritti LGBT ed in particolare contro l'esclusione degli omosessuali dalle forze armate statunitensi, in quanto è stato il primo membro gay a fare coming out. Ha voluto che sulla sua lapide brillasse questa frase: Quando ero nell'esercito, mi hanno dato una medaglia per aver ucciso due uomini e un licenziamento per averne amato uno.

Per tutte queste ragioni siamo chiamati a combattere l’unica vera battaglia perché l’umanità possa fare il salto di qualità che insegue da sempre e che non riesce ancora a fare. La Chiamata all’Amore è per tutte e per tutti nel lungo percorso di riconoscimento dei diritti civili e del rispetto di tutte le diversità nel nome della grande unica e vera identità: l’Umanità.

Amor vincit omnia

Riccardo de Feo


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